la colazione è servita a buffet in una bella sala da
pranzo, capace di trecento posti almeno, magnificamente apparecchiati con
tovaglie ricamate tono su tono, posate in argento, tovaglioli spessi così...
E deserta vista l'ora inurbana per una località di vacanza, fantozziana la scena di ordinare un
cappuccino ed avere tre camerieri in parata che sembrano fare il gioco della
bandiera per accaparrarsi l'ordine.
E servirsi dal
buffet pieno di tutto il possibile, nel silenzio del vuoto assoluto della
sala, e mangiare sentendosi addosso gli occhi dei camerieri, e quindi cercando
di fare in fretta.... ed accogliere con sollievo l'accensione della musica di
sottofondo che allevia il rumoroso silenzio fino ad allora rotto solo dalla tua
posata contro il piatto.
Il taxi che mi sta portando al mio volo mi accoglie
come tutti i taxi del mondo, con un misto di indifferenza e di attenzione a che
non sporchi o rompa qualcosa. L'autista guida nervoso, a dispetto della musica
new age piena di arpe che sta suonando nel suo CD. Percorriamo strade che man
mano -lasciando il centro- diventano sempre più viali, e osservare le case e le
poche persone in giro attraverso la cornice del finestrino è uno dei pochi
momenti piacevoli della giornata. Le case piccole, con i tetti piatti, dai
colori chiari e spesso annacquati e cotti dal sole. I marciapiedi con le
mattonelle invece dell'asfalto. I manifesti pubblicitari coloratissimi,
gridati, di prodotti o servizi sconosciuti dalle mie parti. Poi i viali
diventano autostrada, ed il paesaggio diventa già più familiare: l'autostrada è
un non-luogo in cui mi trovo a casa....
Il sorriso della signorina in divisa alla
biglietteria, il sorriso della signorina che fa i caffè al bar, il sorriso
della signorina allo stand della macchina appena lanciata sul mercato ed
esposta in mezzo all'aeroporto. Tanti sorrisi che mai mi terranno nella
memoria. Ecco, non resta mai traccia del proprio passaggio in questi luoghi. E forse non solo in questi.
Il tempo scivola lento seduto sotto il soffitto alto
dell'aeroporto. La gente arriva, siede, va. Essendoci poca gente, solo la
struttura dovrebbe ricordarmi dove sono, ma essendo un non-luogo non lo fa
affatto, e quindi fa bene la sua parte di non-luogo....
E' ora di andare.
La signora seduta vicino a me in aereo non ha detto
una parola. Indossa un completo pantalone e maglietta bianca che fa risaltare
l'abbronzatura. Sarà sui 50/55 anni, le mani un po' segnate dall'età, nel
complesso piacente, se non fosse che è tanto, davvero troppo carica di
gioielli. Avrà paura di passare inosservata? Ha un accenno di pancetta che
stando seduta le disegna un tenero rotolino sopra la cintura dei pantaloni.
Dopo un po' toglie gli occhiali da sole. Dorme.
Guardo fuori, solo nuvole che scorrono lentissime
sotto di noi. Potrebbe essere il cielo sopra Dublino, o New York, o sopra il
niente o il mare.
Chiudo gli occhi e aspetto che il ronzio dei motori si
amplifichi ed entri in me, vibrando leggero mi stordisca e mi porti con se facendo evaporare il
tempo.
Chiudo gli occhi, e il tempo passa.
Quando dico "ciao" ad un posto, dentro ho un miscuglio di euforia e tristezza. Il ritorno è un dramma sempre.
RispondiEliminaCosì di primo acchito sarebbe da credere che, se dispiace tanto tornare, non è poi questo gran chè ciò che ci aspetta a casa.
EliminaMa il più delle volte non è così, in fondo "a casa" c'è la vita che ci siamo scelti.
O è quella che ci siamo ritrovati?