lunedì 9 settembre 2013

Ritorno


la colazione è servita a buffet in una bella sala da pranzo, capace di trecento posti almeno, magnificamente apparecchiati con tovaglie ricamate tono su tono, posate in argento, tovaglioli spessi così...

E deserta vista l'ora inurbana per una località di vacanza, fantozziana la scena di ordinare un cappuccino ed avere tre camerieri in parata che sembrano fare il gioco della bandiera per accaparrarsi l'ordine.

E  servirsi dal buffet pieno di tutto il possibile, nel silenzio del vuoto assoluto della sala, e mangiare sentendosi addosso gli occhi dei camerieri, e quindi cercando di fare in fretta.... ed accogliere con sollievo l'accensione della musica di sottofondo che allevia il rumoroso silenzio fino ad allora rotto solo dalla tua posata contro il piatto.

Il taxi che mi sta portando al mio volo mi accoglie come tutti i taxi del mondo, con un misto di indifferenza e di attenzione a che non sporchi o rompa qualcosa. L'autista guida nervoso, a dispetto della musica new age piena di arpe che sta suonando nel suo CD. Percorriamo strade che man mano -lasciando il centro- diventano sempre più viali, e osservare le case e le poche persone in giro attraverso la cornice del finestrino è uno dei pochi momenti piacevoli della giornata. Le case piccole, con i tetti piatti, dai colori chiari e spesso annacquati e cotti dal sole. I marciapiedi con le mattonelle invece dell'asfalto. I manifesti pubblicitari coloratissimi, gridati, di prodotti o servizi sconosciuti dalle mie parti. Poi i viali diventano autostrada, ed il paesaggio diventa già più familiare: l'autostrada è un non-luogo in cui mi trovo a casa....

Il sorriso della signorina in divisa alla biglietteria, il sorriso della signorina che fa i caffè al bar, il sorriso della signorina allo stand della macchina appena lanciata sul mercato ed esposta in mezzo all'aeroporto. Tanti sorrisi che mai mi terranno nella memoria. Ecco, non resta mai traccia del proprio passaggio in questi luoghi. E forse non solo in questi.

Il tempo scivola lento seduto sotto il soffitto alto dell'aeroporto. La gente arriva, siede, va. Essendoci poca gente, solo la struttura dovrebbe ricordarmi dove sono, ma essendo un non-luogo non lo fa affatto, e quindi fa bene la sua parte di non-luogo....
 
E' ora di andare.

La signora seduta vicino a me in aereo non ha detto una parola. Indossa un completo pantalone e maglietta bianca che fa risaltare l'abbronzatura. Sarà sui 50/55 anni, le mani un po' segnate dall'età, nel complesso piacente, se non fosse che è tanto, davvero troppo carica di gioielli. Avrà paura di passare inosservata? Ha un accenno di pancetta che stando seduta le disegna un tenero rotolino sopra la cintura dei pantaloni. Dopo un po' toglie gli occhiali da sole. Dorme.

Guardo fuori, solo nuvole che scorrono lentissime sotto di noi. Potrebbe essere il cielo sopra Dublino, o New York, o sopra il niente o il mare.

Chiudo gli occhi e aspetto che il ronzio dei motori si amplifichi ed entri in me, vibrando leggero mi stordisca e mi porti con se facendo evaporare il tempo.

Chiudo gli occhi, e il tempo passa.

2 commenti:

  1. Quando dico "ciao" ad un posto, dentro ho un miscuglio di euforia e tristezza. Il ritorno è un dramma sempre.

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    1. Così di primo acchito sarebbe da credere che, se dispiace tanto tornare, non è poi questo gran chè ciò che ci aspetta a casa.
      Ma il più delle volte non è così, in fondo "a casa" c'è la vita che ci siamo scelti.
      O è quella che ci siamo ritrovati?

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