Avere, o non avere tempo.
Questo concetto assume sempre più maggiore importanza man mano che andiamo avanti nella nostra vita.
Da bambini ci sembra che il tempo sia infinito. Le estati sono lunghe e calde ed i giorni si susseguono apparentemente senza fine e, soprattutto, senza consumare nulla.
Da bambini, il nostro divenire è una continua crescita per cui ci aspettiamo di essere sempre di più. Più grandi, più forti, più bravi, più amati.
Tutta la questione dell'invecchiare, ruota in definitiva intorno alla percezione di quanto tempo ci resta. Quanto tempo per fare questo o quello, o anche solo per poter ragionevolmente sperare di fare questo o quello. Finchè siamo giovani, pensiamo che tutto è possibile. Poi il passare del tempo ci chiude progressivamente le porte, e la nostra vita si trasforma pina piano da una distesa pianeggiante su cui possiamo spostarci in ogni direzione ad una strada, prima larga e diritta e che si srotola davanti a noi infinita, poi sempre più stretta e tortuosa.
L'incedere diventa sempre più pesante.
Il tempo delle favole è passato da un pezzo.
Che disgrazia doversi confrontare ogni giorno con qualcuno che molto più avanti o molto più indietro. Non si parla la stessa lingua e ciò che a noi appare evidente, a loro appare assurdo o incomprensibile.
Qualcuno ha detto o scritto che quando nasciamo iniziamo a morire. in fondo è vero. Ma il vero dramma è quando te ne rendi conto davvero, quando lo capisci davvero.
La famosa storia della crisi "di mezza età".
mercoledì 2 ottobre 2013
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giovedì 26 settembre 2013
Una via difficile da trovare
Giravo da un po' per le strade di quella città a me
sconosciuta. Un po' afflitto dal senso di esclusione che sempre mi da essere in
una citta che non è la mia.
Giravo e non trovavo la via, e giravo e giravo... ed
ormai era notte fonda, nessuno in giro.
Arrivo ad un semaforo rosso, mi affianco ad una BMW
scura, grossa, ferma li.
Guardo dentro e c'è lei: bionda, capelli corti, sui 50
anni. Fuma, aspirando lente boccate, tenendo la sigaretta vicina al finestrino
aperto, il capo reclinato come a guardare le stelle.
Forse avrà sentito il mio sguardo perché così, senza
motivo, si gira verso di me.
Ci guardiamo negli occhi per alcuni istanti, poi le
faccio segno di abbassare il finestrino.
Esita… poi il vetro scende.
Le chiedo se conosce la via che sto cercando, lei ci
pensa un attimo, mi guarda, poi mi dice di seguirla.
Guida piano, come piace a me, la grossa BMW scura mi
sembra un animale minaccioso mentre si addentra per le strade di questa città sconosciuta
e mi "porta" verso la meta, credo. Guardo il profilo dei suoi capelli
far capolino dal bordo del sedile.
Dopo aver percorso un lungo viale, ci fermiamo
appaiati ad un semaforo.
Lei mi guarda e mi spiega come proseguire. Poi si
ferma, fa segno di no con la testa ed alla fine mi dice di seguirla ancora un
pezzo.
Continuiamo così, al semaforo successivo le dico che
non vorrei farle fare chilometri apposta, ma lei mi dice che non ha nessun
posto dove andare, che stava solo combattendo l'insonnia.
Dopo altri viali, altri semafori, altri brandelli di
frasi gettati da un'auto all'altra, arriviamo in una grossa rotonda, illuminata
da lampioni gialli, strade larghe e deserte.
Ci fermiamo ancora appaiati, lei si volta verso di me
e per la prima volta la vedo bene in faccia. E' bellissima, di quella bellezza
che il tempo ha piano piano cristallizzato in piccolissime rughe, espressioni,
ed ancora illuminata da una luce negli occhi...
"ecco" mi dice indicando poco più avanti
"la strada che cerca è quella".
Io non guardo la strada, guardo lei.
"grazie" le rispondo "è stata davvero
molto, molto gentile" .
La guardo...
"mi sento un po' in colpa... vorrei
sdebitarmi" che strani pensieri iniziano a girarmi in testa, che cosa
nuova e diversa potrebbe capitarmi...
Lei resta ferma a guardarmi poi, mi sorride dolcissima
e dice "lo hai già fatto... " e partì.
Per un attimo considerai l'ipotesi di seguirla.
Forse se lo aspettava.
No... non se lo aspettava, avrei rovinato tutto.
mercoledì 25 settembre 2013
Se capisco quello che succede
Quando i rapporti vanno in crisi (vanno... diciamo che li facciamo andare, anche se abbiamo sempre l'impressione che le cose accadano al di fuori del nostro controllo) si arriva sempre ad un punto, un punto esatto... in cui si capisce che la crisi è irreversibile.
Che si è superato un limite, un confine.
Che le cose non torneranno mai come prima o meglio, che non torneranno mai a posto.
E questo punto, questo attimo in cui ci prende la consapevolezza, non è detto che sia un qualcosa di travolgente, di animato, rumoroso o che.
Anzi, sono convinto che la maggior parte delle volte è un punto che coincide con un particolare. Una "inezia", un qualcosa a cui solo poco tempo prima non avremmo dato nessuna importanza.
Può essere anche un semplice sguardo, che una sera qualunque ti capita di dare distrattamente al tuo "amore" e nell'attimo preciso in cui lo dai capisci che non lo ami più.
Capisci che non ti va più di combattere per tenere vivo qualcosa proprio con quella persona li, proprio quella li e nessun altra.
Capisci che l'alternativa "con te o senza di te" è tutto sommato sopportabile.
E' un attimo, davvero un microsecondo che condensa nel tempo di un battito di ciglia mille discorsi, parole, azioni.
Basta un attimo e dopo nulla è più come prima perchè in quell'attimo hai capito ed hai preso coscienza. Ti sei arreso.
Che si è superato un limite, un confine.
Che le cose non torneranno mai come prima o meglio, che non torneranno mai a posto.
E questo punto, questo attimo in cui ci prende la consapevolezza, non è detto che sia un qualcosa di travolgente, di animato, rumoroso o che.
Anzi, sono convinto che la maggior parte delle volte è un punto che coincide con un particolare. Una "inezia", un qualcosa a cui solo poco tempo prima non avremmo dato nessuna importanza.
Può essere anche un semplice sguardo, che una sera qualunque ti capita di dare distrattamente al tuo "amore" e nell'attimo preciso in cui lo dai capisci che non lo ami più.
Capisci che non ti va più di combattere per tenere vivo qualcosa proprio con quella persona li, proprio quella li e nessun altra.
Capisci che l'alternativa "con te o senza di te" è tutto sommato sopportabile.
E' un attimo, davvero un microsecondo che condensa nel tempo di un battito di ciglia mille discorsi, parole, azioni.
Basta un attimo e dopo nulla è più come prima perchè in quell'attimo hai capito ed hai preso coscienza. Ti sei arreso.
giovedì 12 settembre 2013
E alla fine non resta mai nulla.
Era un pomeriggio piovoso, denso... L'aria era
letteralmente pregna di acqua e si distingueva a fatica l'orizzonte dalle
nuvole basse e sfilacciate sui campi.
Ti avevo attesa alla stazione, tu arrivavi dal tuo
paese, io in auto dalla mia città. Correndo sotto la pioggia hai attraversato
il piazzale della stazione e sei entrata nell'auto. Hai sussurrato
"ciao" nello stesso attimo in cui ti allungavi e mi baciavi veloce
sulla bocca, bagnandomi di pioggia, facendomi assaporare le tue labbra fredde e
dolci e bagnate insieme.
Poi sei rimasta un attimo li, a scrutarmi negli occhi
da pochi centimetri, cercando qualcosa. Io, ho abbassato lo sguardo sul tuo
mento rigato di gocce d'acqua e con le dita ti ho accompagnato una ciocca di
capelli scuri e ribelli, oltre che fradici, dietro l'orecchio.
Ho sempre amato e temuto questi tuoi sguardi, li ho
sempre sentiti addosso come un qualcosa di caldo e unico.
Mi hai chiesto dove volevo andare, ti ho risposto che
non avevo una idea precisa, ma che mi andava di "fare un giro". Così,
guidando piano siamo usciti dalla città ed abbiamo imboccato la statale che
risale le colline coperte di viti. Il cielo era una scacchiera di nuvole nere e
squarci bianchi abbaglianti. I tergicristalli tenevano il tempo di una canzone
immaginaria, dentro di me.
Guidavo piano ed ogni tanto ti sbirciavo con la coda
dell'occhio. Tu eri seduta composta, con l'impermeabile di vernice nera lucente
che "cigolava" leggermente seguendo il rollio dell'auto.
Quando eri così, assorta nei tuoi pensieri, ti
mordicchiavi il labbro inferiore in modo quasi impercettibile ma abbastanza
perché me ne accorgessi.
Il silenzio continuava, che pensavi? Che eravamo
alla... fine?
mercoledì 11 settembre 2013
Diversamente uomo?
Oggi ho appreso di essere "diversamente
uomo".
Oddio, preciso subito: non nel senso che sono
tendenzialmente omosessuale o asessuato (potrebbe anche essere ma è una
rivelazione che per il momento mi è stata risparmiata).
Quindi mi interrogo su cosa significhi essere
"diversamente" uomo, dando per assodato che -almeno per il momento-
uomo lo sono ancora (sorrido).
E' possibile accorgersi di essere diversamente uomo
perché in fondo ad un anima che si sente intorpidita dal tempo e dalle
esperienze, cova ancora qualche flebile fiammella?
E' possibile esserlo perché, come mi è successo
anche di recente, mi sono perso per qualche attimo negli occhi nocciola di una
sconosciuta?
Oddio... se esserlo significa questo, significa
riuscire per qualche secondo a liberarmi delle incrostazioni che normalmente mi
fanno essere disincantato e vedere nuovamente il mondo con lo sguardo del
fanciullo (nel senso di avido di emozioni nuove) allora sono ben orgoglioso di
essere "diversamente uomo".
Riflettendoci, poi, mi rendo conto che noi uomini
dobbiamo essere ben miseri di norma se basta parlare di aver provato una
emozione per essere marchiati come "diversi".
Che poi non è che avendo apprezzato degli occhi
nocciola e due tettine (e qui già cade un po' l'asino... hemmm), ho sottointeso che sto pianificando di rivoluzionare la
mia vita per inseguire un nuovo strampalato rapporto. Ho solo apprezzato occhi
e tettine, e questo mi pare davvero straordinariamente ORDINARIO per un uomo
con ancora un minimo (considerando l'età) di pulsioni sessuali e di sangue che
scorre.
Sempre continuando a rifletterci, mi sovviene infine
una conclusione sconcertante: tanto più mi sono scoperto diversamente uomo io,
tanto più posso trovare diversamente donna l'altra metà del cielo.
Ma ecco che subito mi contraddico perché, sempre
riflettendoci, mi rendo conto che una donna che si comporta in modo incoerente,
stizzito come se fosse gelosa e frettolosa di affermare la sua intangibilità, è
davvero in tutto e per tutto una donna come ce la si immagina. Insopportabile e...
insostituibile.
lunedì 9 settembre 2013
Ritorno
la colazione è servita a buffet in una bella sala da
pranzo, capace di trecento posti almeno, magnificamente apparecchiati con
tovaglie ricamate tono su tono, posate in argento, tovaglioli spessi così...
E deserta vista l'ora inurbana per una località di vacanza, fantozziana la scena di ordinare un
cappuccino ed avere tre camerieri in parata che sembrano fare il gioco della
bandiera per accaparrarsi l'ordine.
E servirsi dal
buffet pieno di tutto il possibile, nel silenzio del vuoto assoluto della
sala, e mangiare sentendosi addosso gli occhi dei camerieri, e quindi cercando
di fare in fretta.... ed accogliere con sollievo l'accensione della musica di
sottofondo che allevia il rumoroso silenzio fino ad allora rotto solo dalla tua
posata contro il piatto.
Il taxi che mi sta portando al mio volo mi accoglie
come tutti i taxi del mondo, con un misto di indifferenza e di attenzione a che
non sporchi o rompa qualcosa. L'autista guida nervoso, a dispetto della musica
new age piena di arpe che sta suonando nel suo CD. Percorriamo strade che man
mano -lasciando il centro- diventano sempre più viali, e osservare le case e le
poche persone in giro attraverso la cornice del finestrino è uno dei pochi
momenti piacevoli della giornata. Le case piccole, con i tetti piatti, dai
colori chiari e spesso annacquati e cotti dal sole. I marciapiedi con le
mattonelle invece dell'asfalto. I manifesti pubblicitari coloratissimi,
gridati, di prodotti o servizi sconosciuti dalle mie parti. Poi i viali
diventano autostrada, ed il paesaggio diventa già più familiare: l'autostrada è
un non-luogo in cui mi trovo a casa....
Il sorriso della signorina in divisa alla
biglietteria, il sorriso della signorina che fa i caffè al bar, il sorriso
della signorina allo stand della macchina appena lanciata sul mercato ed
esposta in mezzo all'aeroporto. Tanti sorrisi che mai mi terranno nella
memoria. Ecco, non resta mai traccia del proprio passaggio in questi luoghi. E forse non solo in questi.
Il tempo scivola lento seduto sotto il soffitto alto
dell'aeroporto. La gente arriva, siede, va. Essendoci poca gente, solo la
struttura dovrebbe ricordarmi dove sono, ma essendo un non-luogo non lo fa
affatto, e quindi fa bene la sua parte di non-luogo....
E' ora di andare.
La signora seduta vicino a me in aereo non ha detto
una parola. Indossa un completo pantalone e maglietta bianca che fa risaltare
l'abbronzatura. Sarà sui 50/55 anni, le mani un po' segnate dall'età, nel
complesso piacente, se non fosse che è tanto, davvero troppo carica di
gioielli. Avrà paura di passare inosservata? Ha un accenno di pancetta che
stando seduta le disegna un tenero rotolino sopra la cintura dei pantaloni.
Dopo un po' toglie gli occhiali da sole. Dorme.
Guardo fuori, solo nuvole che scorrono lentissime
sotto di noi. Potrebbe essere il cielo sopra Dublino, o New York, o sopra il
niente o il mare.
Chiudo gli occhi e aspetto che il ronzio dei motori si
amplifichi ed entri in me, vibrando leggero mi stordisca e mi porti con se facendo evaporare il
tempo.
Chiudo gli occhi, e il tempo passa.
La prova del nove
Ecco, se c'era bisogno di una prova di quello che sostenevo nel mio post precedente a proposito dell'inutilità del darsi da fare per creare il proprio destino, oggi ne abbiamo una dimostrazione.
Ieri, domenica, clima nuvoloso e pioggia a sprazzi tutto il giorno.
Oggi, lunedì, giornata di lavoro e di lunghe code in auto, sotto un cielo che farebbe invidia alle Azzorre in Marzo...
Ieri, domenica, clima nuvoloso e pioggia a sprazzi tutto il giorno.
Oggi, lunedì, giornata di lavoro e di lunghe code in auto, sotto un cielo che farebbe invidia alle Azzorre in Marzo...
mercoledì 4 settembre 2013
Forse domani
Da un po’ di tempo sono preso da pensieri lugubri.
Notturni. Spesso penso alla morte, alla fine, al fatto che –dopo- non ci sei
più e per quanto può riguardarti, non ci sei mai stato.
Come si dice? Chi muore tace e chi vive si da pace.
Già.
Non so perché, davvero non lo capisco ma provo un
senso di compiacimento al pensiero che ormai sono arrivato all’ultimo pezzo,
alle ultime cose, e che posso ben aspettarmi che nessuno si aspetti più nulla
da me.
Un lusso, direi.
Uno dei pochi aspetti positivi, oltre al chetarsi
delle passioni, ma di questo parlerò dopo, è che non devi più pretendere da te
stesso di modificare ciò che ti sta intorno.
Semplicemente, un giorno, capisci che le cose vanno
come vogliono e quello che puoi fare per modificarle è un bel niente, ed è
un’illusione credere davvero di fare la differenza.
Pensateci un attimo: quante cose avete iniziato e
magari anche finito nella vostra vita, convinti di aver fatto la differenza.
Quanti rapporti avete iniziato e coltivato pensando
che sarebbero proseguiti secondo i vostri desideri, e invece sono miseramente
naufragati esattamente come se non ve ne foste mai curati nemmeno un po’.
E allora, finalmente, arrivati alla mia età potete
tranquillamente abbandonarvi al fato, a lasciare che le cose accadano, che siano
belle o brutte, gradite o no.
Ecco quale è la vera conclusione, il vero
insegnamento: la vita se ne frega di noi, di noi tutti. Il conquistarsi la vita
eterna è una cazzata buona solo a farti alzare ogni mattina invece che
restartene a letto a dormire, se fosse quello ciò che desidereresti davvero
fare. Alla fine si è tutti con l’acqua alla gola esattamente nello stesso modo.
Quindi, a che pro darsi tanto da fare?
Di amori sbagliati, rapporti nefasti, legami su cui in
molti ti mettono in guardia, è pieno il mondo. Chi non si è imbarcato
–credendoci- almeno una volta ben sapendo in fondo al suo cuore che non poteva
che finire male?
Ignorando sistematicamente i segnali, gli avvisi, i
dettagli. Già i dettagli. Quei cari, sottovalutati, maledetti dettagli che fin
dall’inizio ti mettono il germe del dubbio ma non ti dicono abbastanza
chiaramente di scappare.
O forse lo dicono o lo direbbero, ma noi siamo ciechi
e sordi in certi momenti.
Ora, se anche a voi è capitato di imbarcarvi in un
rapporto senza futuro ma che ostinatamente avete voluto credere pieno di viali
frondosi da attraversare, ecco voi potrete ben capire.
Che ne sarà di noi
Lui oscillava come un pendolo tra gioia e disperazione. Un pendolo irregolare però, che accelerava o rallentava a seconda dei momenti, a volte fermandosi pure.
D'altra parte la storia con lei era nata in modo casuale, con reciproche dichiarazioni di leggerezza e di "dura finché dura".
Poi... si era pian piano trasformata in qualcosa di diverso.
Qualcosa di elettrizzante da un lato, e terribilmente pesante dall'altro.
Per entrambi era la prima volta in cui si chiedevano seriamente cosa volevano fare, entrambi frenati dal fuggire (come erano stati soliti fare fino ad allora) perché sentivano che era diverso.
Così, piano piano, si strinsero sempre di più uno all'altra e per fare questo rinnegarono tutto ciò che erano al di fuori della coppia.
Per un po' la cosa funzionò, ma alla fine, inevitabilmente, le crepe vennero fuori.
Così scoprirono che nonostante tutto quanto avessero fatto e costruito fino a quel momento, gli mancava un qualcosa di fondamentale: la capacità di capire davvero l'altro.
La capacità di accettarsi per quello che si è.
Forse perché troppo presi dal fuoco che li bruciava, da una passione mai provata, non si erano resi conto di aver costruito un bel castello di pietra su fondamenta di argilla.
E le torri avevano iniziato ad oscillare, le pietre a cadere dai muraglioni, l'acqua ad infiltrarsi attraverso il tetto.
Ecco quindi il pendolo, che un giorno portava dove tutto andava bene ed il sole splendeva, e l'altro viaggiava tra i massi che rotolavano e le rovine che incombevano.
Che fare?
D'altra parte la storia con lei era nata in modo casuale, con reciproche dichiarazioni di leggerezza e di "dura finché dura".
Poi... si era pian piano trasformata in qualcosa di diverso.
Qualcosa di elettrizzante da un lato, e terribilmente pesante dall'altro.
Per entrambi era la prima volta in cui si chiedevano seriamente cosa volevano fare, entrambi frenati dal fuggire (come erano stati soliti fare fino ad allora) perché sentivano che era diverso.
Così, piano piano, si strinsero sempre di più uno all'altra e per fare questo rinnegarono tutto ciò che erano al di fuori della coppia.
Per un po' la cosa funzionò, ma alla fine, inevitabilmente, le crepe vennero fuori.
Così scoprirono che nonostante tutto quanto avessero fatto e costruito fino a quel momento, gli mancava un qualcosa di fondamentale: la capacità di capire davvero l'altro.
La capacità di accettarsi per quello che si è.
Forse perché troppo presi dal fuoco che li bruciava, da una passione mai provata, non si erano resi conto di aver costruito un bel castello di pietra su fondamenta di argilla.
E le torri avevano iniziato ad oscillare, le pietre a cadere dai muraglioni, l'acqua ad infiltrarsi attraverso il tetto.
Ecco quindi il pendolo, che un giorno portava dove tutto andava bene ed il sole splendeva, e l'altro viaggiava tra i massi che rotolavano e le rovine che incombevano.
Che fare?
venerdì 30 agosto 2013
Chi ben comincia
"Chi ben comincia" è una rubrica di cadenza casuale ideata da Alessia del blog Il profumo dei libri. Le regole sono semplici: dovrò prendere un libro a caso dalla mia libreria e scrivere le prime 10/20 righe, scrivere titolo e autore per chi fosse interessato
Ecco il primo incipit che mi è venuto in mente, da "Il giovane Holden" di Jerome D. Salinger
"Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio d'infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio padre. Carini e tutto quanto -chi lo nega - ma anche maledettamente suscettibili."
Ecco il primo incipit che mi è venuto in mente, da "Il giovane Holden" di Jerome D. Salinger
"Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio d'infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio padre. Carini e tutto quanto -chi lo nega - ma anche maledettamente suscettibili."
Perchè la carta non è pietra?
E' una piccola metafora, con cui voglio dire che c'è ben poco di definitivo, di "scolpito nella pietra".
E la carta, ovvero i libri e più in generale la parola scritta, sono duttili e malleabili, sono interpretabili e qyuindi flessibili.
In definitiva, permettono ad ogni singolo lettore di trovare -o meno- ciò che sta cercando o che comunque vuole trovare in quello che legge.
Chi scrive, in fondo, da una traccia, suggerisce, lasciando tanti spazi vuoti che la fantasia e la rappresentazione mentale di ognuno colora e definisce come crede.
Per questo penso che non esista solo un libro scritto da quell'autore, ma tanti libri quanti sono i lettori che ha avuto.
Poi, certo, più potente e definita sarà la sua scrittura (e questo non ha nulla a che vedere con il perdersi in elaborate e interminabili descrizioni), più le interpretazioni saranno univoche seppur sempre colorate in mille sfumature diverse.
E la carta, ovvero i libri e più in generale la parola scritta, sono duttili e malleabili, sono interpretabili e qyuindi flessibili.
In definitiva, permettono ad ogni singolo lettore di trovare -o meno- ciò che sta cercando o che comunque vuole trovare in quello che legge.
Chi scrive, in fondo, da una traccia, suggerisce, lasciando tanti spazi vuoti che la fantasia e la rappresentazione mentale di ognuno colora e definisce come crede.
Per questo penso che non esista solo un libro scritto da quell'autore, ma tanti libri quanti sono i lettori che ha avuto.
Poi, certo, più potente e definita sarà la sua scrittura (e questo non ha nulla a che vedere con il perdersi in elaborate e interminabili descrizioni), più le interpretazioni saranno univoche seppur sempre colorate in mille sfumature diverse.
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